venerdì 3 agosto 2007

NEL SUO NOME - settima puntata


Osman viene da Mostar e la sua fede in Allah è grande.
Deportato nel campo di sterminio di Gabela, Osman descrive le torture commesse dai suoi aguzzini: i Croati Cattolici. "Ci tennero senza mangiare per tre giorni. Ogni tanto ci portavano dell'acqua dentro la quale avevano pisciato. Solo il quarto giorno ci diedero da mangiare: una zuppa fatta con i rimasugli dei loro pasti e i loro escrementi.
Ci costringevano a mangiarla di fronte a loro e intanto ci picchiavano con il calcio dei fucili. Ogni giorno due o tre di loro entravano nella cella in cui eravamo rinchiusi. Avevano bastoni o spranghe di ferro, talvolta anche coltelli. Noi restavamo raggomitolati a terra. Cominciavano a picchiare le persone, passando da uno all'altro senza ordine. Sapevo quale era il loro fine. Cercavano di capire chi era il più debole all'interno della cella. Era un loro modo per testarci.
Quando avevano colpito abbastanza prendevano su il più malridotto e lo portavano fuori. Lo tiravano lungo tutto il piazzale tenendolo solo per i capelli. Questo urlava e piangeva e loro ridevano. Poi lo mettevano in piedi contro il muro del piazzale che era rosso di sangue."

Questa è la settima puntata (di dieci) del documentario "Nel suo nome", tratto da una storia vera, scritto e interpretato da Marco Cortesi, con la consulenza storica di Lucia Zacchini,in onda ogni martedì su control-alt-cancin collaborazione con ARCOIRIS-TV

sesta puntata: durata 9,55 min

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1 commento:

Hermano querido ha detto...

Una volta Valentino Bompiani aveva fatto circolare un motto: Un uomo che legge ne vale due. Detto da un editore potrebbe essere inteso solo come uno slogan indovinato, ma io penso significhi che la scrittura (in generale il linguaggio) allunga la vita. Sin dai tempi in cui la specie incominciava a emettere i suoi primi suoni significativi, le famiglie e le tribù hanno avuto bisogno dei vecchi. Forse prima non servivano e venivano buttati quando non erano più buoni per la caccia. Ma con il linguaggio i vecchi sono diventati la memoria della specie: si sedevano nella caverna, attorno al fuoco, e raccontavano quello che era accaduto (o si diceva fosse accaduto, ecco la funzione dei miti) prima che i giovani fossero nati. Prima che si iniziasse a coltivare questa memoria sociale, l'uomo nasceva senza esperienza, non faceva in tempo a farsela, e moriva. Dopo, un giovane di vent'anni era come se ne avesse vissuti cinquemila. I fatti accaduti prima di lui, e quello che avevano imparato gli anziani, entravano a far parte della sua memoria.

Oggi i libri sono i nostri vecchi. Non ce ne rendiamo conto, ma la nostra ricchezza rispetto all'analfabeta (o di chi, alfabeta, non legge) e' che lui sta vivendo e vivrà solo la sua vita e noi ne abbiamo vissuto moltissime. Ricordiamo, insieme ai nostri giochi d'infanzia, quelli di Proust, abbiamo spasimato per il nostro amore ma anche per quello di Priamo e Tisbe, abbiamo assimilato qualcosa della saggezza di Solone, abbiamo rabbrividito per certe notti di vento a Sant'Elena e ci ripetiamo, alla fine della fiaba che ci ha raccontato la nonna, quella che aveva raccontato Sheherazade.

A qualcuno tutto questo dà l'impressione che, appena nati, noi siamo già insopportabilmente anziani. Ma è più decrepito l'analfabeta (di origine o di ritorno), che patisce arteriosclerosi sin da bambino, e non ricorda (perchè non sa) che cosa sia accaduto alle Idi di Marzo. Naturalmente potremmo ricordare anche menzogne, ma leggere aiuta anche a discriminare. Non conoscendo i torti degli altri l'analfabeta non conosce neppure i propri diritti.

Il libro è un'assicurazione sulla vita, una piccola anticipazione di immortalità. All'indietro (ahimé) anziché in avanti. Ma non si può avere tutto.

Umberto Eco La bustina di Minerva. Perchè i libri allungano la vita, 1991