martedì 19 dicembre 2006

Quasi quasi mi do malato



Il natale è quasi arrivato, manca meno di una settimana. Eppure c’è qualcosa che stona, che contrasta con tutto quello che il natale è (o è stato), in se per se.

In questo periodo dovremmo essere tutti più buoni, magnanimi e comprensivi, ma se esco di casa vedo gente imbottigliata del traffico, infuriata come il demonio, nel vano tentativo di comprare i regali.

Compra, spendi, usa, getta, desidera, da mesi ormai ci bombardano con vetrine di strass vertiginosamente dorati compresi di alberi di natale con la neve finta. Alla Upim sotto casa, però hanno usato gli stessi addobbi dell’anno scorso e babbo natale non ne può più di stare appeso ad una corda a 3 metri da un ciuffo di pungitopo.

Qualcuno lo tiri giù prima che si sfracelli.

Con tutto quello che ha da fare in questo periodo, poi. Ma ci pensate, quell’uomo dovrà consegnare in una sola notte 23 milioni di playstation, 85 miliardi di cravatte, dovrà reciclare 45 bilioni di panettoni di cui almeno un migliaio risalenti al 1970. Mio papà aspetta ancora che gli arrivi quello che nel ‘94 l’Inter non lo fece mangiare ad Hodgson.

Per non parlare dello spumante. In TV c’è una festa che dal mese di novembre va avanti a intermittenza perché uno esce ed entra dalla porta con una diavolo di bottiglia di Asti in mano. Senza dimenticare, no Martini no party! Lo dice anche la mia Panda, soltanto che alla fine non parte né col Martini, né col Berlucchi, e col Ferrari addirittura s’offende, perché dice che non vuole averci niente a che fare con ‘ste macchine borghesi.

Sembra un discorso campato in aria o applicabile soltanto alle metropoli, ma se ci guardiamo attorno ci rendiamo conto che ovunque è così. Ovunque ci mostrano oggetti, donne o condizioni, a cui non possiamo arrivare. Tutte cose che prima di vederle non desideramavo e dopo averle scoperte ci sentiamo frustrati dal non poterle avere. Allora, anche a Lenola, ci mettiamo a spendere, a fare a gara con il vicino per i botti, le luci, il presepe, la parabola. “Caliamo a Funni” a comprare gli I-pod, le PS e le barbie. Oppure stiamo al cagliostro prima di cena con un aperitivo in mano, per poi, nel dopocena, abbracciarci le bottiglie intere.

Anche quest’anno, dovunque, anche a Lenola, ci rimpinzeremo, mangeremo e berremo più del dovuto cercheremo altrove armonie che invece sono nascoste sotto le radici degli alberi di natale, nella terra che gli ha ospitati prima che qualcuno gli tagliasse per appenderci palline sopra (l’abete del papa quest’anno viene dalla Sila, è alto 34 metri e credo superi i cento anni di età, il tutto per abbellire S.Pietro 10 giorni, un bell’esempio di ambientalismo).

Insomma, si fa tutto tranne che guardarsi all’interno, prendere e fare due passi, respirare l’aria della festa, sorridere ed essere sereni, come si dovrebbe fare a Natale.

Ma nella società del Mulino Bianco queste cose avvengono solo in TV, dove i belli baciano i belli per fare figli bellissimi e i brutti usano AXE e rimorchiano gli idraulici. Intanto mi chiedo se tutti questi stereotipi non facciano altro che allontanarci dallo stare bene, dallo stare assieme. E’ un gioco al massacro dove si vuole sempre di più di quanto si possiede, dove le nostre donne sono sempre inadeguate, dove la nostra casa è sempre troppo piccola, dove la nostra condizione è sempre troppo misera. Allora finiamo con credere che il possedere possa essere un modo per sentirsi felici e intasiamo “pont sevici” di automobili, per comprare il superfluo e dimenticare l’indispensabile.

Io quasi quasi, a Natale, mi do malato.

lunedì 18 dicembre 2006

SCOPPOLINO dicembre 2006


Quando Lucilio chiese a Seneca di inviargli un suo ritratto in modo da poter apprezzare il maestro in tutta la sua personalità, Seneca gli rispose che i ritratti degli amici assenti rinverdiscono il ricordo e alleviano con un conforto irreale e vano lo struggimento per la lontananza, continuava poi col dirgli che è più piacevole ricevere una lettera perché ci porta le impronte autentiche, le vere connotazioni dell’amico assente. Infatti, cito testualmente le parole di Seneca: ciò che di più dolce offre la vista di un amico, questo ci è assicurato dalla traccia della sua mano impressa nella scrittura della lettera. Beh, parlare dopo quasi 2000 anni di lettere e scrittura a mano sembra quasi ridicolo. Lo Scoppolino non ha mai conosciuto le impronte autentiche dei suoi autori, ma ne prova una grande nostalgia. Ciò che di più autentico caratterizza lo Scoppolino sono i dibattiti fra noi dell’Associazione, le esortazioni in piazza ad amici e conoscenti a scrivere quello che detta il cuore e le questioni che orgogliosamente solleva. Da questo numero, come avrete notato, lo Scoppolino si è vestito a festa, ha ricevuto anche lui in regalo questo nuovo abito e lo ha indossato con fierezza senza pensarci due volte; data l’occasione…perché farsi vedere in giro tempo di Natale con i vecchi vestiti? Questa miglioria è frutto di un’evoluzione convalidata, e allo stesso tempo un motivo in più per raccontare un paese, per cercare, seppur a suon di bit, di offrire a chi ci legge il piacere di conoscere le problematiche, ma anche le delizie di una piccola realtà. Siamo convinti, infatti, che più si rimpicciolisce il cerchio e meglio si mettono a fuoco le cose…secondo il principio che tanto ci sta a cuore: pensare globalmente, ma agire localmente. Buona lettura e buone feste a tutti

mercoledì 6 dicembre 2006

RESTITUIAMO INDIPENDENZA AL SESSO! di Ilario

Come giustamente ci faceva notare Clandestino nella pubblicazione del provocante Post di qualche giorno fa (AAA ORGIA CREASI) di questi tempi siamo un po’ tutti a secco di una genuina sessualità. Che siate single, sposati, fidanzati, anziani, gay, o che altro, chi più chi meno (beato chi meno), le frustrazioni, le insoddisfazioni e i pensieri che dedichiamo alla nostra sfera sessuale, dobbiamo riconoscere che hanno qualcosa di malato. Ora, perché io considero il sesso materia divina, spirituale considerazione dell’eterno, superficie riflettente dei sentimenti, soffio vitale, non riesco a scinderlo da quelli che sono i dilemmi della contemporaneità.
Quando faccio sesso, consulto gli angeli, e quando ho finito non se ne vanno, rimangono ad aleggiarmi attorno, s’intrattengono in una discussione che si fa materia riflessa sul viso della mia compagna. Sono brividi che la natura ha voluto regalarci per rendere vivibile questo mondo. E noi? A me sembra che noi, così come impediamo alla Luna di commuoverci o all’alba di emozionarci, impediamo di dare a quell’atto la dignità che merita. Concedersi al sesso ancora prima che al compagno/a! E ciò che paradossalmente ritengo il solo modo che esista per restituire autonomia al sesso. Altrimenti succedono spiacevoli cose e si finisce con l’abusare della parola “Amore”, di considerare la riconoscenza, la simpatia, l’affetto, la confidenza, la tenerezza rigorosamente legate all’Amore con le conseguenze che tutti conosciamo. Risparmiamoci il fatidico “ti amo” alle situazioni estreme, in cui saremmo pronti a dare la nostra vita, a sacrificarla fino in fondo, a quando ci sentiamo preparati a scivolare insieme sulla ruota dell’usura e della decrepitezza, a quando veramente si è pronti a spalleggiarsi teneramente fino alla tomba. Parliamo adesso dell’abuso del sesso. Se ci teniamo al libero arbitrio, alla serenità e al vero possesso del se, allora dobbiamo lottare contro l’abuso del sesso. Con questo non voglio dire che dobbiamo considerare i nostri desideri cattivi e quindi meritevoli di essere rimossi. Non penso ci sia alcun male nel desiderio di sesso (come alcuni Cristiani hanno cercato in dati periodi di farci credere). E’ giusto e Divino soddisfare i propri desideri nel rispetto e nell’integrità degli altri. Per questo non mettiamo la maschera dell’Amore quando si tratta di desiderio bruto. Trovo più coraggiosa la caccia ai corpi che una falsa avventura sentimentale. Dobbiamo fare nostra la convinzione che c’è più confusione nel cuore e nella testa che nei sensi; che dietro i pensieri e a ciò che chiamiamo spesso sentimenti, si nascondono più porcherie del sesso. Ritornando al discorso che tanto mi preme del Bianco e Nero che chi mi legge conosce: abbiamo solo due vie, due soltanto per riavviare il mondo in modalità socialmente compatibile: esserne sazi o esserne privi. Gli antichi saggi seguivano la prima. I santi Cristiani la seconda. Ma l’una e l’altra richiedono una grande virtù: l’onestà.

SCUSATEMI di Tiziano

Cari amici lettori, che vi connettete sul blog da ogni parte, vi chiedo scusa per il mio superficiale atteggiamento di aver omesso dal blog l'articolo da me scritto, insieme ai vostri commenti. L'articolo a cui faccio riferimento era originariamente una lettera inviata da parte mia agli altri esponenti dell'associazione di cui faccio parte, ideatrice del blog. Pertanto, rileggendola su "CTRL ALT CANC", in cui voi tutti avete accesso, mi sono reso che aveva perso la validità e la spontaneità che aveva nel contesto privato dell'associazione; ho provveduto, per questo, a cancellarla. Vogliate scusarmi per la mia leggerezza.

lunedì 4 dicembre 2006

STRADETTO di Ilario

Solo qualche decina di anni fa passeggiare per le strade di Lenola era piacevole, ogni angolo, ogni contrada ospitava i giochi di turno dei bambini, i più grandi dopo il lavoro si riunivano per la meritata partita a calcetto, e poi secondo il periodo si sentivano le grida del maiale che doveva essere macellato, il profumo dell’uva, i pomodori spremuti e imbottigliati per la conserva. Oggi Lenola è triste perché non c’è tutto questo, perché il vino si compra, i pomodori pure, gli animali li fanno morire (prima di ucciderli) per noi. I bambini non giocano più per strada, figurati i più grandi che si isolano in un nulla ingeneroso e angosciante dopo una giornata di lavoro altrettanto stressante. Io penso che questo succede non perché si preferisce vedere la Tv o giocare con la Playstation, ma per un altro motivo. Non siamo più capaci di provare emozioni sinceramente e con il naturale senso di grazia. Fateci caso, avete visto quando siete soli a vedere un film e vi emozionate come vi lasciate andare ad una lacrima senza inibizione? Vi succede lo stesso quando accade nella realtà? Tranne i miracoli di Berlusconi (proprio in questi giorni) credo di no, altrimenti il Grande Fratello non avrebbe avuto successo. Poi, basta che affianco a te sul divano c’è qualcun altro, che fosse anche tuo padre o tua madre, e quasi non riesci più a emozionarti. Quindi due, tre, quattro Televisioni! Magari in camera, soli ad amarla. Gli individui non sono più concepiti dalla mente come persone con un cuore da cui ricevere e dare emozioni, ma più semplicisticamente come uno che parla, o che sta zitto, o noioso, nel miglior dei casi simpatico, nel peggiore uno da fregare, a volte uno con cui stare insieme che mi vede quell’altro…altro.
E’ altro e altrove ciò che ci fa emozionare; e quindi? E quindi il frullato di parasentimenti ai condensatori. Il cinema era nato in sale gremite di gente che gridava, che rideva, che piangeva, come quando emozionava ancora il nostro caro Cinema Lilla, la Tv è finita nelle nostre case per ben altre intenzioni! Ma non basta, adesso ce la vogliono mettere in tasca! Finiremo per vergognarci anche a ridere di gusto quando riceveremo la pillola d’ironia sotto la metro dal nostro telefonino?