martedì 6 febbraio 2007

Le imprese di Macaroot - II puntata


Quando il nostro paladino Macaroot spalancò la pesante porta alla locanda del temibile conte di Cagliostro erano seduti in ordine crescente di tasso alcolico: Cumpà Claudio detto “accattatelle”, il mago Eric il germanico, detto semplicemente “il mago”, Diego Pablo lo Scardusceju, famelico templare di catalunha, Felix il musicante, Henry Francis Happyhour e Saint Gelard l’uomo morra, terribile spugna, in grado di prosciugare le riserve dei bar della contea e di quelle limitrofe in una sola notte. Alcuni, per non far capire che parlano di lui usano appellativi come “Vileda” o “Asciugatutto Daino”. Dirigeva la gara, da dietro il bancone, Daniel Natalius I, figlio del buon Norperso, uno dei tre cavalieri del re Oo. Gli altri erano Norvanni e Norarnaldo, cui era affidata la cura della potentissima spada autovelox e del cavallo punto, famoso per via del suo colore bianco e blu, invece che nero, e la testa a sirena intermittente.

La quiete venne subito rotta, dalla avida voglia di Saint Gelard di confrontarsi con chiunque nella sua arte, ma questa volta non aveva valutato il valore di chi gli stava di fronte. La locanda, in quel momento gremita, si svuotò delle ben due persone sedute ai tavoli.

- Macaroot, ci vi? -L’urlo di Saint Gelard, già sull’orlo di un coma alcolico, turbò il quarto d’ora di saluti e baci.

- Ci vengo - rispose Macaroot, per niente intimorito. E in un attimo la tempesta di quattro,sette e otto, di “ancheperteragazzo ” e tutta la morra, sommerse il cagliostro e tutta la mulattiera circostante, tracimando per le strade e animando i vecchi vicoli silenti. Le mani, le braccia e le dita si susseguivano vorticosamente, i fiumi di birra e di vecchia romagna scorrevano dal bancone al centro della sala. E lì Macaroot, dopo essersi acceso, sfregandola contro i baffi, la trentesima sigaretta dello scontro, gridò:

- Tutta la maniii- e Saint Gelard, guardando il suo pugno chiuso sul bicchiere di peroni, non resistette e stramazzò a terra. Fu portato via dai suoi scagnozzi a bordo di una cariola con frigo bar e guida a destra, ereditata dal padre morto in un pub di Londra per aver bevuto accidentalmente un bicchiere d’acqua. Quegli inglesi tenevano davvero alle tradizioni e lo affogarono nel cappuccino del compagno, erano le nove del mattino. Da quel giorno il giovane Saint Gelard decise che non avrebbe più bevuto acqua, in memoria del padre. Ci riusciva egregiamente.

Allora, Macaroot, si avvicinò al bacone, prese l’oste Daniel, per il pesante bavero di fustagno e gli chiese dove fosse il bagno. Quello gli rispose, che era desolato, ma non c’era l’acqua e il bagno era chiuso.

L’acqua? Il nostro eroe aveva davvero sentito bene? Nella sua contea mancava l’acqua? Il suo pistolino era ora costretto a farla contro il muretto di pietra, dall’altro lato della strada, laddove il sole non batte mai e le più temibili creature del regno trovano il connubio con il freddo mondo delle tenebre. In pratica Macaroot non aveva nessuna intenzione di gelarsi le palle.

- E’ una cosa indegna- esclamò – io dico che il castello di cristallo di don Marcello può attendere. Darò l’acqua a Lenola! Al costo di portarcela con le orecchie! -

- Cala ca vinni! I piscia chiu d là, ‘mbecill, ca la stai a fa ngoppa aju vasilcu!!! – urla un marrano dal balcone. Ma Macaroot già ha chiuso la zip ed è a cavallo alla volta degli Aurunci, dove nemmeno Andreotti il gobbo era riuscito a tornare vincitore.

Toloclop, toloclop, toloclop, riecheggiavano gli zoccoli nella foresta fatata di Trelle.

Telochiap, telochiap, telochiap, ridacchiavano le zoccole nella foresta mica poi tanto fatata di Trelle. Ma Macaroot, impassibile, in sella al suo destriero lanciato al galoppo, procedeva spedito e fiero, la missione era delle più delicate: convincere la gentile signorina rimorchiata poco prima ad accettare 5 squarau per l’intero servizio.

Infatti, la signorina, nemmeno tanto gentilmente, non accettò, e Macaroot maledisse la Philips Morris, il tabacco e la paghetta troppo bassa del Re Oo e riprese, stavolta al trotto, la strada degli aurunci, dove l’attendeva la notte e chissà quali insidie.

Giunse alle grotte di Pastena all’imbrunire e già i pipistrelli disegnavano i loro strani intrighi nell’aria. Era troppo tardi per fare qualsiasi cosa e quindi il nostro eroe decise di andare a dormire alla taverna del cappio laccato in oro, perchè quella del cappio d’oro 750, forgiato dall’artigiano Fasooolo, costava troppo.

Macaroot toccato il cuscino, che una volta, tanto tempo fa, era stato bianco, ma che ora aveva assunto un marroncino abete comunque niente male, si addormentò di sasso. La notte passò convulsa tra voli di pipistrelli e il crepitio delle coppiette nelle altre stranze e sotto il letto. Verso il mattino Santavomma, il potente oracolo, gli apparve in sogno, con la sua padellona in testa. Santavomma non parlò dormiva anche lui di un sonno pesante che solo gli oracoli riescono ad avere.

A quel punto Macaroot si svegliò grondante di sudore e subito sgaiattolò giù lungo la grondaia per non pagare il conto. Era l’alba e quando se ne accorse, il nostro paladino si riattaccò alla grondaia e andò a farsi altre tre orette di sonno. Dopo qualche tempo che si era assopito Macaroot risognò Santavomma che stavolta gli diceva: “Alzati, sono le dieci, Alzati, sono le dieci, Alzati, sono le dieci. – e poi aggiunse - Questa sveglia fatata vi è stata offerta da ‘La spada di fuoco’ officina artigiana di Goffredo e figli via Appia ottantunesimo paracarro. Goffredo e figli, le migliori spade per i vostri peggiori nemici.”

- Santavo’ ma che è?- chiese Macaroot nel torpore del sogno

- Zitto va. - rispose Santavomma - Che si deve fa’ per campare, caro Macaroot. Mi danno 1 squarao ogni persona che sveglio. Anzi fammi andare che butto giù dal letto quel nullafacente di Carmelinooo l’alchimista. Ma tanto è solo tempo perso. Il massimo che riesco a fare è farlo girare dall’altro lato.

Le grotte di Pastena erano chiuse per restauro ma Macaroot, fece valere subito la sua arte diplomatica, e dietro la minaccia di una alabardata il geometra del posto acconsentì affinché Macaroot passasse.

Le grotte erano veramente immense il picco delle cornamuse precedeva di poco la valle delle cascate e poi proseguiva verso le sabbie mobili. Spada in pugno Macaroot riuscì a pestare ventimila metri cubi di guano e quasi decapitarsi con una stalattite. O stalagmite? Non lo sapeva. Comunque quando fu in fondo scoprì che le sabbie mobili non erano fatte di sabbia né di fango e che lì la grotta finiva in un lago smeraldo bellissimo e grandissimo.

Quindi calcolando la parallasse, la distanza dai poli e predicendo il secondo estratto sulla ruota di Napoli capì che se avesse fatto un buco nella roccia avrebbe portato l’acqua direttamente a Lenola. Così, raccogliendo tutte le sue forze bucò la montagna creando una crepa che subito si allargò in turacciolo, poi in tombino, poi in una botte fino a diventare un buco di venti metri di diametro, da cui l’acqua dell’immenso lago tracimò in meno di tre nanosecondi. Affacciandosi dall’enorme spaccatura nella montagna si vedeva nettamente Ceprano e la valanga d’acqua che ora stava per colpirla.

Non c’era tempo da perdere, Macaroot mise le mani alla bocca e fischiò al suo fedele destriero. Il quale fulmineo corse verso il padrone prendendo il sentiero turistico ed evitando le enormi cisterne di guano in cui il padrone si era tuffato poco prima. Così sopra al suo potente cavallo lanciato al galoppo, Macaroot riuscì a superare il fiume in piena e, imbracciato l’arco, a sparare i trenta cordoli della 3M milano che sempre portava nella faretra.

Il fiume d’acqua, costretto a mettere la prima per non lasciarci le sospensioni, giunse alle porte di Ceprano, a soli 20 km/h, sufficienti solo ad abbattere alcuni caseggiati e da allora nella città poterono bere senza problemi, pisciare senza problemi e vendere l’acqua a Lenola per 100 squarau il secchio. Senza problemi. Per molti e molti anni a venire.

Macaroot tornò a Lenola in trionfo, la banda i giullari e persino i Savoia rettori del famoso e un pò caretto, bordello della foresta fatata di Trelle gettavano fiori lungo Mangiavacca, ballavano, cantavano e organizzavano sagre di zuppa e fave e sacrifici di caprettoni per festeggiare il ritorno del paladino. L’unico che non esultava era il Marrano e il suo basilico. Il secondo perché ormai era secco e il primo perché non aveva potuto ancora farsi una doccia.

Lord Carmelin of the hill
signore di Vignore
padrone dell'impero
vassallo della sevici

6 commenti:

Anonimo ha detto...

il toloclop e favoloso ma il telochiap assolutamente meraviglioso. Non vedo l'ora di leggere il proseguo.
Un saluto a tutti.
Quando leggerete questo post io sarò arrivato ormai a milano.
Buona notte hermanos.

Salvatore

Anonimo ha detto...

ehm.. per chi non capisse lo squarau è un movimento tellurico all'interno dell'intestino, noto altresì come diarrea incendiaria o cagotto a sfranze....

Anonimo ha detto...

...prendete due chili di prugne e inghiottitele in men che non si dica.
Fatto?
Adesso prendete un litro di latte ghiacciato e bevetelo a garganella fino all'ultima goccia.
Fatto?
Sono le due del pomeriggio.
Uscite immediatamente per un po' di jogging.
Fatto?
Bbene!
Provate a fare 200 metri, ma sicuramente prima di avereli percorsi avrete ottenuto il vostro squarau attack fatto "in casa".

Anonimo ha detto...

L'atrà fenì!!
s storii n n'fannu ke n'fangà!

Anonimo ha detto...

i ca p n'fangà ci vò l'acqua!

Anonimo ha detto...

Gianni scusaci,
a volte ci facciamo prendere la mano e poi voi dovete risparmiare energie con tutto quello che avete da fare.
Mica potete stare lì a incazzarvi.